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IL TRONO
VUOTO VISTO DA UN GIORNALISTA
di
Alessandra Ottieri (quotidiano "La Repubblica")
Caro Luigi (Granetto), ci siamo inventati, qualche
giorno fa, un gioco difficile. Non sempre si riesce a farsi
capire quando si dipinge, e quando si scrive di chi dipinge.
Ciascuno, a volte, dipinge, e scrive, per se. Poi se qualcuno
capisce, tanto di guadagnato. Non è questo uno dei motivi che
allontana, o tiene a distanza, molti spettatori che amerebbero
molto «entrare» in un'opera d'arte? Per chi ha studiato e letto
qualche libro, dover dire in poche, semplici parole, che cosa ha
voluto dire o fare, con un quadro o con uno scritto, puo'
sembrare una dolorosa banalità, un'inutile semplificazione. Ma
noi abbiamo provato ad essere banali e ci siamo trovati bene.
Così ti ho chiesto di raccontarmi la storia del «Trono vuoto»
come se fossi una bambina ignara di storia dell'arte o una
persona capitata per caso nel tuo studio, anch'essa ignara ma,
come la bambina, attratta da forme e colori. Una fiaba narrata da
un pittore che, per un attimo, dimentica ogni citazione, ogni
riferimento più o meno colto. Un artista-cantastorie, per un
ora. Vogliamo rischiare di farci ridere in faccia? Proviamo.
Allora: c'era una volta. C'era una volta un albero che voleva
parlare con Dio e così l'ho rappresentato rovesciato, con le
radici all'insù perché guardasse meglio il cielo. Un uomo, che
non compare mai nei miei dipinti, è in preghiera, vuole
ascoltare, come l'albero; la parola divina. Si sente
molto felice, in comunicazione con tutto.Comincia così un
viaggio. Sembra un incantesimo. Rivive, nello spazio di un
giorno, la sua vita.Cammina cammina e vede Adamo ed Eva,
accovacciati ai lati di un trono altissimo. vuoto. E il trono cli
Dio, onnipotente, cbe non ha volto. Poi, all'improvviso, tutto
diventa giallo: è l'Età dell'Oro. L'uomo si sente bambino e
vede con i colori della sua infanzia: il giallo, l'arancione,
l'oro. Tutto è chiaro, luminoso. Qui vivono e regnano un re un
po' buffone, vestito da giullare, convinto di essere il sole,
insieme alla sua regina che somiglia alla luna. Non hanno molto
bisogno di comandare in questo regno dove tutti vanno d'accordo.
Il viaggio prosegue. Cambio di scenario. È l'età di Mezzo, il
mondo dell'adolescenza sfrenata, che vuole fare indigestione
della vita, dell'amore, e fa la scoperta del proprio corpo. Qui
vivono e regnano un re e una regina che hanno la forma di un
serpente. È inutile nascondersi che fanno un pochino più paura
di prima. Ma c'è una tale confusione che non ci si accorge molto
della loro presenza. Nei campi, tutt'intorno, si lavora la terra.
Un grande carro, trainato da un cavallo, apre profondi solchi.
Gli uomini hanno scoperto, per la prima volta, la caccia
el'agricoltura. Hanno imparato a sopravvivere. Cammina cammina si
raggiunge l'Età del Ferro. È il regno della ragione dei
giudizi, forse dell'arroganza e della presunzione. Si sfida Dio.
Ci si sente onnipotenti. Il colore, ovunque, è cambiato. Si vede
marrone e nero. Ci sono guerre e si combatte. Si vince e si
perde. Qui vivono e regnano un re e una regina molto torvi e
scuri in volto. Un gigantesco cavallo guidato da un cavaliere dal
volto rosso, sconfitto, sprofonda, mentre un altro si innalza,
vittorioso. Il viaggio prosegue. Prossima sosta: il mondo della
scienza. L'uomo apre gli occhi e distingue meglio il contorno
delle cose che lo circondano. Diventa adulto. Capisce gli abbagli
che ha preso nella vita. Ultima sosta del viaggio, ultimo quadro:
i vivi e i morti. Non è un giudizio universale, ma la cronaca di
quello che accade tutti i giorni, il ritorno nella realtà.
L'uomo si ferma e dice: «Ho cercato di fare un po' il
professore, di raffigurare Dio, di dire agli altri che cosa
potrebbe essere la religione, il mito, la scienza. Ho commesso
tanti peccati di presunzione. La fiaba termina qui, dove comincia
una difficile, necessaria umiltà. Vediamo dove ci porta il
destino, auguri, Luigi.
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