IL FUNAMBOLO
Quali
sono le idee che serpeggiano negli occhi degli attori?
Ho avuto I'opportunità
di conoscerne molti e di familiarizzare con alcuni.
Di queste
esperienze ricordo pupille lucide come vetro abituate a dialogare
con se stesse
nel riflesso di uno specchio, voci catacombali adatte per far
rivivere qualche Enrico VIII, ma eccessive per ordinare una gazzosa
al bar.
Ricordo
Tino Buazzelli ad una cena a Pistoia, convinto d'essere alla taverna
de « La testa di cinghiale », come Falstaff accentrare sul cibo
l'enigma di verità universali.
Riconoscere quali idee alberghino
nell'animo di un attore e un'impresa terribile.
Negli altri uomini
Ia « necessità » ne ordina il flusso, ma in un attore Ia « necessità
» galleggia, come è naturale, sulla «
finzione » e più si fa astratta, più vola nei cieli di Cirano,
designando Ia grandezza di chi ne ha dato rappresentazione
Ho guardato a lungo Nino Manfredi mentre gli chiedevo fatti della
sua vita che già conoscevo e ho visto in lui un enorme sforzo evocativo, un
liberarsi per brevi
attimi dal personaggio del cameriere emigrato che sta interpretando
per Spaghetti house di Paradisi.
Un gioco pericoloso che da
le vertigini quello di cercare dentro di se il motto platonico che
recita « l'uomo è
fatto di tutto »
per il quale non esistono idee in esclusiva alle quali aggrapparsi.
Questo gioco, prerogativa di poeti e di attori, c'e chi
lo accetta solo in parte, con lievità come Mario Scaccia o con
leggerezza, come quegli artisti dagli occhi di vetro sopra citati,
ma c'e chi, come Nino Manfredi, riesce a vendere l'anima al diavolo
per sfidare, uomo in carne ed ossa, quest'esercito di fantasmi
evanescenti.
Per far questo Nino ha imparato a vivere come un
funambolo
ponendo alle opposte estremità dell'asta, con Ia quale si mantiene in
equilibrio, da una parte Ia cultura autenticamente realista delle
sue origini contadine, dall'altra Ia capacità d'astrazione che fu
dei grandi attori della nostra epoca come Charlie Chaplin o Eduardo
De Filippo che esplicitamente un giorno gli domandò di succedergli.
Non esiste nella recitazione di Manfredi la contraddizione fra
realtà fattuale e finzione, in Lui tale contraddizione tende alla verità
dell'empatia che lega gli uomini oltre alla deduzione dei ragionamenti
verso la sapienza dell'analogia.
Le idee non riescono nel suo viso a
prendere confusamente it sopravvento ma, attraverso un lavoro
minuzioso di selezione, si piegano alla sua volontà per rivelare un
messaggio diverso da quello di cui erano portatrici.
Nino approfitta strumentalmente di Shakespeare come della miscela Lavazza per
costruire un messaggio del tutto originate.
Con raro acume Oreste
Del Buono considerò la sua interpretazione per lo spot
del caffé Lavazza, un piccolo grande capolavoro:
« Nel
caso delta
pubblicità della miscela Lavazza, interpretata da Nino Manfredi, è chiaro che il principale merito della suggestione del
messaggio è
da attribuirsi all'interprete.
Nell'esiguo tempo che ha a
disposizione vive una situazione difficile
o
bizzarra
o
comunque strana, una situazione, insomma,
che possa sia pur
vagamente incuriosire lo spettatore.
Poi a lenire, rincuorare,
corroborare Nino Manfredi nell'impatto
con
quella situazione sopravviene la degustazione del caffé.
Un ultimo sussulto di diffidenza. La richiesta imperiosa d'informazione. Ma sarà buono?
L'accettazione
soddisfatta della notizia ambita. Ma è Lavazza.
Il rincaro dell'informazione, non più per l'interprete, ma per lo spettatore.
Se è Lavazza non può
essere
altro che buono.
Infine il passaggio all'esaltazione; l'interprete come solista per
I'incombente coro del pubblico.
Lo slogan trionfalmente sessuale:
più ne mandi giù, più ti tira su.
Non
solo
lo
scatto
sessuale ma la proposta risoluzione dell'eterno problema del moto
perpetuo.
Ottiene questo con la scomposizione e la ricomposizione della faccia
intorno a emozioni fondamentali: noia o preoccupazione, sconcerto o
ansietà, dapprima, e poi speranza o aspettativa, diffidenza o dubbio,
sospettosità o cautela, e infine felicità e godimento, soddisfazione e
sazietà, entusiasmo e convinzione.
Gli occhi luccicano, si velano, scompaiono dietro le palpebre,
riluccicano, ammiccano, riscompaiono dietro le palpebre
come
per
non
ferirci
con
il loro luccichio, le labbra s'increspano, si arricciano, si
assottigliano, si schiudono, si gonfiano, traboccano con o senza parole, continuano a parlare
persino nel silenzio.
I lineamenti cambiano per seguire ogni sfumatura d'umore sino in
fondo a riportarne alla superficie del piccolo schermo la vera
essenza.
Per l'esattezza: il simbolo, la cifra, il
segnale della vera
essenza.
La
finzione come verità delle verità.
A quale
altro risultato potrebbe
o
dovrebbe mirare un attore? »
La recitazione quindi come sapienza, maniera di comunicare non
questa o quell'idea per questo o quel fine, ma tutte le idee e tutti
i fini sedimentati nell'animo del pubblico e che aspettano un attore
mago capace d'evocarli: ecco come quest'arte sa proporre una cultura
sua propria, una forza catartica quasi religiosa.
Quando al Festival di Sanremo Nino Manfredi sali sul
palcoscenico per cantare
La frittata,
la sua grande arte riuscì per incantesimo a fermare, come per
sospensione della vita cosmica, i cervelli inebetiti di mezza Italia per far « contemplare » loro Ia memoria di una terra contadina
troppo sbrigativamente dimenticata ma che, volenti o nolenti,
rappresenta ciò che di meglio hanno posseduto.
IL SUONATORE DI BANJO
L'intervista, qui di seguito pubblicata, verte su esclusivi temi musicali e, da
intervistatore, non nascondo di aver provato un certo imbarazzo a
restringere I'ambito delle domande a questo campo.
Probabilmente però
questo tema leggermente Iiberatorio della canzone ha dato Ia possibilità
a Nino di lasciarsi un po' andare, rinunciando, per quanto possibile,
all'attenzione critica che i suo professionismo rende ancor più seria,
per un recupero di ricordi personali.
Inoltre Ia differenza fra Nino Manfredi attore,
che combatte con i fantasmi delle grandi idee vaganti per l'universo,e Nino Manfredi cantante, che si ricorda di aver
sussurrato serenate a fanciulle di paese, ci chiarisce, per contrasto, Ia sua straordinaria profondità recitativa smentendo le facilonerie di
quei critici che non si sono ancora accorti di quale complessità e
spessore sia capace.
Per riuscire a non far calare l'intensità biografica che la sua storia
sprigiona ho fatto sparire le molte domande che gli ho fatto per
convincere a "recitare" la sua storia.
« Musicista lo diventai a sedici anni, quando,
aspettando la morte, all'Ospedale Forlanini, volli imparare a
suonare uno strumento.
In quel luogo, non molto allegro, ci arrivai in
seguito ad una pleurite bilaterale che mi presi in una gita in
bicicletta fatta con i mio gruppo di avanguardisti a Mentana.
Non
avendo soldi per acquistare uno strumento, feci con le mie mani,
utilizzando il fondo di una sedia, un banjo dal suono incantevole,
conservato, quale preziosa reliquia, dei tempi andati, e che qualche disgraziato mi deve aver rubato.
Questa piccola
"band" era in breve tempo diventata famosa nel suo ambiente e, a
un certo punto, fu invitata a radio Egea, una emittente per i
malati, a suonare tutto it suo repertorio, naturalmente senza
che ciò comportasse per noi il benché minimo profitto materiale.
A suonare ho imparato da solo, con un discreto orecchio;
aiutato da quei cornpagni, magari edotti di musica, imparai le
note sul pentagramma, negli spazi e sul rigo, le crome, le
biscrome, la chiave di violino ... poi tutto finì net nulla poiché ebbi la fortuna di guarire!
Suonavo per trovare la forza
di vivere anche se alla morte ormai mi ci ero
abituato.
Non passava giorno che, chiedendo di un qualche
amico, non venivo a sapere della sua fine come nella
"Montagna incantata" di Thomas Mann.
Di quei periodo non ml
sono rimasti amici e anche it mio maestro, un
ragazzo della mia età, un giorno purtroppo se ne
andò come gli altri.
Con il gruppo eseguivamo solo musiche strumentali: un repertorio leggero
fatto di arie popolari motto romantiche, orchestrate però con grande
perizia da un maestro anziano, con delle straordinarie controvoci che eseguiva per lo più il mio amichetto con
la mandola che mi fece anche da maestro.
L'orecchio e la
passione della musica era nata in me motto prima di questa
esperienza quasi professionale: era nata in chiesa e sull'aia.
In chiesa ci vivevo perché facevo il chierichetto e
perché fui mandato in uno di questi collegi religiosi molto
giovane.
Mio padre aveva l'ambizione di darci tutto quello che
lui non aveva mai avuto e, facendo sacrifici di ogni genere,
quando arrivai al ginnasio m'iscrisse come
semiconvittore al Santa Maria, una scuola seria, secondo lui,
dove le rette erano salate soprattutto per uno come mio padre.
In questo collegio uno dei pochi divertimenti erano le funzioni
religiose che ebbero il duplice pregio d'impostarmi abbastanza
bene la voce e di farmi perdere del tutto la fede.
Oggi sono, da
questo punto di vista, fra "color che son sospesi", uno
che riversa il desiderio di credere a qualche cosa di superiore
tutto nell'uomo, nella sua dignità e centralità
nella scala dei valori.
Nell'aia invece, imparai le tarantelle e il saltarello suonate con la fisarmonica e con
una grande allegria, i canti a dispetto
e le serenate. Una delle serenate che io facevo era: "bella
si voi dormite, sognate che vi bacio".
La musica popolare fa parte delle mie radici, delle mie
origini che, non mi stancherò mai di ricordarlo. sono autenticamente
contadine e di questo ne vado orgoglioso perché sono
sicuro che hanno influito molto positivamente sul saper
essere attore, non per una stagione, in superficialità
ma dentro, con quella concretezza e profondità che solo
il mondo contadino possiede.
Queste origini hanno
rappresentato per me un magazzino di verità, di sincerità, di una
naturalezza del sentire e anche di dolore e di vita vissuta.
E' incredibile pensare che nella mia vita da una situazione
arcaica dove non avevo ne acqua, ne luce elettrica, ne
gabinetto in casa, sono passato a volare sul Concorde, quando
i mezzo di locomozione più veloce era il bue e il somaro, qualche volta
il cavallo che possedeva il contadino più ricco.
La musica religiosa e contadina e stata molto importante per la mia opera d'autore, ma dovetti aspettare
molti anni perché saltasse fuori l'opportunità di ricongiungermi a
questo meraviglioso retroterra potendo far rinascere in
me e negli spettatori l'autenticità di una cultura che va
disperdendosi.
Evitata la guerra, un po' per la pleurite, un
po' per una mia fuga dopo l'8 settembre in montagna, mi ritrovai
alle prese nuovamente con la musica in Accademia.
Questa
materia era allora obbligatoria perché un bravo attore doveva
saper cantare, muoversi, addirittura ballare, che allora era
un po' uno scandalo perché veniva considerata quasi un'arte da froci
e le si preferiva la scherma.
Questa
estrema serietà mi servi moltissimo perché una volta fatti tutti gli
Shakespeare e Goldoni del mondo, volli cimentarmi anche nel varietà e, in questo genere teatrale dove sei
solo con le tue capacità tecniche senza alle spalle quei figli di
mignotta dei classici, o sei veramente bravo, o non
vai avanti.
Entrai nel mondo del varietà quando mi scritturò la
compagnia delle Sorelle Nava.
Le Nava per me, allora, significavano l'avanspettacolo.
il teatro
puro, e in effetti questo tipo
di spettacolo mi ha insegnato
moltissimo: piano piano cominciai a
scoprire me stesso.
Non dovevo più rispettare il testo, potevo incominciare a dire qualcosa
con parole mie.
Ho incominciato a scoprire il mio umorismo, le mie qualità venivano
finalmente fuori.
Avevo finalmente un contatto diretto con il
pubblico. Inventavo, cambiavo le battute a seconda della gente che
"me
stava a sentì".
Ero sempre più padrone del
palcoscenico.
A volte col pubblico ci litigavo anche.
Ricordo che
quando facevo "Festival"
con la Osiris, andai in passere/la con un bastone in mano, per
difendermi dal pubblico che voleva buttarmi giù.
Quello fu un
bell'insuccesso, fu un fiasco.
Eppure lo sketch che avevano
scritto Age e Scarpelli era bellissimo.
Si chiamava: "La
canotta", io ero un romano che entrava per la prima volta in
una boutique, era I'epoca del "boom" di questo tipo di
negozi, chiedendo una "canotta" appunto, una canottiera.
Ero il
primo cliente. Non capivo dove mi trovavo, perché tra angeli e santi
d'antiquariato mi pareva d'essere in chiesa e nessuno capiva
cosa volevo, cos'era la canotta.
Era divertente ma
purtroppo la rivista, anche se ci aveva messo un po'
mano Luchino Visconti, non ebbe successo. Wanda era
disperata.
Dopo quell'esperienza andai con Billi e Riva per "L'ltaliani
son Fatti così".
C'erano ancora con me Ferrari e Bonagura.
Si cercavano dei copioni e Mario Riva, ricordo, ce li leggeva ad alta
voce.
Un giorno lesse una scenetta che
trovò brutta e che decise di scartare.
Ma io, ascoltandola,
sentii come un campanello in testa; io ci sto sempre attento
alle mie antenne che sono molto sensibili, e grazie a loro
che sono riuscito a far sempre qualcosa di originale.
In
quella scenetta che Riva aveva letto c'era qualcosa che
mi piaceva: era di Marchesi.
Chiesi di rileggerla e di
provare a farla con Bonagura.
Era lo sketch, divenuto poi
famoso, "La psicanalisi".
La Magnani veniva sempre a
vederlo e a rivederlo e rideva come una matta.
La prima sera
lo sketch durava cinque minuti.
Dopo sei repliche, durava
venti minuti.
Lo costruivamo e arricchivamo sera dopo sera.
In seguito andò bene anche "Un trapezio per Lisistrata" con
Delia Scala »
CANZONISSIMA, RUGANTINO E SANREMO
« "Canzonissima" mi procurò molte soddisfazioni, il "Barista di
Ceccano" fece ridere tutta l'Italia.
Ci furono anche delle difficoltà, mi ricordo.
I dirigenti della RAI avevano un po' paura delle
mie battute.
Ad un
certo punto mi cacciarono addirittura, facendomi passare per
malato.
Per Fortuna mi sostennero Garinei e Giovannini. Fu grazie a
loro che riuscii a portare a termine tutta la serie delle puntate.
Con "Rugantino" poi affrontai anche la commedia musicale,
diventai un cantante.
Fu una bellissima esperienza, fu un
successo strepitoso che mi portò anche in tournee a Broadway e
nell'America Latina.
In questa nuova veste andai anche due volte a
Sanremo.
La prima con una canzone bellissima che però Petrolini non aveva portato
al successo: "Tanto pe' cantà".
Ci andai anche perché mi
interessava conoscere l'ambiente della canzone.
Chiesi di
andare li un paio di giorni prima, perché volevo capire.
E' proprio
tutto un altro mondo, un mondo di follia.
Ho visto scene di
disperazione, pianti, ecc. Quando cantai io, in diretta, fra
le quinte i cantanti non mi hanno fatto un sorriso, mi guardavano
come il veleno.
Ero uno che gli rubava il mestiere.
E' gente che cerca il successo e che l'ottiene per un quarto d'ora
Anche nel cinema
del
resto è cosi. E' tutta la vita che
mi sento dire: "Aho, approfitta
che
er momento tuo!"
Sono cent'anni che me lo dicono; come lo dicono a Sordi
La seconda volta è stata l'anno
in cui ho cantato "La frittata": l'ambiente era molto rilassato e anche
io ero felice di questa grande puttanata che però arrivò
alla gente quasi come una piccola rivoluzione del
divertimento, una cosetta simpatica che rompeva questa monotonia
infinita dei cantanti che fanno finta di cantare immobili
davanti ad una telecamera.
Certo che quando sento il signor Sinatra, it signor Armstrong, la
signora Barbra Streisand mi vergogno come un ladro.
La musica di oggi non
posso proprio sentirla, mi sono fermato ai Beatles: sono
pochi quelli che riesco a sentire e che mi interessano veramente.
Quando abbiamo girato "La mazzetta" io avevo proposto Pino
Daniele ma non l'hanno voluto fare perché non era ancora
famosissimo, peggio per loro.
Mi piace Battiato, Venditti
quando canta in romanesco e Cocciante perché lo sento vero,
DaIla
lo amo senza riserve, lo trovo bravissimo.
DaIla è di una
bellezza incredibile.
Quando incidevo: "Tanto pe' cantà" con
Maurizio e Guido De Angelis eravamo alla RCA.
Arrivai un po'
spaesato in questo grande edificio sulla Tiburtina e domandai dove
dovevo andare.
Mi fu indicato un ascensore, entrai e c'era
uno che dormiva dentro: io mi preoccupai perché mi sentii un
po' impacciato, un burino che non era al passo coi tempi,
comunque raggiunsi l'ufficio dove sbrigai certe pratiche e ripresi
di nuovo l'ascensore.
Quell'uomo era sempre li,
emblematico.
Dopo un po' io stavo facendo le prove in sala
d'incisione e t'arriva un cosetto con un cappelletto che con accento bolognese,
senza guardarmi, chiede: "Ma è vero che c'e Manfredi?"
lo mi
presento, lui mi guarda e mi dice: "Ma lo sal che sei forte!" e
poi senza aggiungere altro se ne va.
Da quella volta ogni volta che ci incontravamo era come se avesse
visto un innamorato, una volta mi supera sul Lungotevere e per poco
non facemmo un incidente, aprì ll finestrino e
incominciò a urlare: "Ciao, ciao Nino..."
Se trovo del giovani validi
sono il primo ad andargli incontro; per aver scelto Guido
e Maurizio De Angelis come musicisti a cui affidare "Per
grazia ricevuta" mi misi contro grandi maestri del cinema che non
capirono che per il mio film desideravo una musica acerba, senza
quelle furbizie, talvolta utili, delle musiche accattivanti.
Preferivo una musica ancora non del tutto professionale ma sentita
fino in tondo.
Guido e Maurizio me li sono trovati vicini, vivevano
in un paesino, Rocca di Papa, erano due burini come me pieni di
voglia di fare ma soprattutto con nel volto stampato quello che
avevano dentro: una grande pulizia interna.
Ho capito i De Angelis al volo come capii quella mascalzona di mia
moglie... e sono vent'anni di matrimonio!
Ho un grande fiuto nel capire la gente, forse amo contornarmi di
gente onesta per far fronte ad una grande insicurezza, a questa mia
fragilità che però mi da la forza di non essere falso quando recito.
Quando capisco che uno è vuoto dentro, per me e qualcosa di
spaventoso, mi dispiace moltissimo, fingo di niente, cerco di dire
"non hai capito un cazzo", é una scoperta sempre cosi amara.
Fra un vuoto e un timido o uno che si crea una crosta per
sopravvivere c'e una differenza enorme.
La timidezza per me è uno dei motori più importanti per un artista,
è una carica che gli esplode; per esempio se penso a Gassman, al suo
modo di fare in apparenza cosi espansivo, mi trovo davanti ad uno
degli attori più timidi che si possano immaginare. lo sono un grande
timido, anche se dopo tanti anni passati a recitare, mi sono fatto
una grande scorza, e di questo me ne rammarico un po', ma ho salvato
dentro la mia innocenza.
Il mio primo capocomico è stato Vittorio Gassman che venne a
scegliermi in Accademia con Tino Buazzelli, Luigi Squarzina e
Luciano Salce.
Mi ricordo che quando ci fu la prima lettura del copione feci scena
muta, non riuscivo ad aprire bocca.
La Maltagliati dopo la terza lettura disse a Gassman che bisognava
sostituirmi, ma lui, presomi da parte, mi diede una grande carica
dicendomi: "ma che te frega, buttati"; riuscì a creare un'aria cosi
affettuosamente familiare che mi
sbloccai.
La differenza tra il timido e il vuoto sta nel fatto che it
primo ha davanti tutto da scoprire, l'altro non ha speranze, ha solo
l'abisso.
Capisco che esistono anche vuoti buoni, i cretini inconsapevoli, ma
io non sono San Francesco, in questo sono poco generoso, mi danno
troppo fastidio.
Non capisco gli stupidi, lo spiritoso stronzo, il battutista cretino
che non ha radici da nessuna parte.
Se questi signori mi provocano sono capace di dirgliene di tutti i
colori; rni è successo ultimamente un fatto molto grave con una
giovane promessa del cinema che i critici avevano dato per la
maggiore.
Questo attore mi aveva "sfrugugliato" e con molta durezza gli ho
detto "tu ti rivelerai da solo che sei un vuoto, un presuntuoso e
niente altro".
Ci ha messo un anno per darmi ragione, io speravo di più.
Oggi purtroppo it livello medio della gente di spettacolo è molto
mediocre forse perché nessuno vuole più mettersi nella posizione di
chi impara: sono tutti professori.
Maurizio e Guido De Angelis mi piacquero molto anche perché si
mostrarono subito pronti ad ascoltarmi, ad entrare, senza
presunzione, nel mio mondo, nei miei ricordi, nella vita di uno con
un vissuto della madonna che, anche se deve sempre imparare, può
permettersi il lusso d'insegnare qualche cosa.
E d'altronde net nostro incontro anch'io cantavo una canzone "Tanto
pe' cantà" che fu di uno che m'insegnò tantissime cose: Petrolini.
"Gastone" è una canzone che ho sentito in casa da quando sono nato
perchè la cantava mio padre che era un suo grande ammiratore.
Da bambino non ero mai andato a vedere uno spettacolo classico ma
fui portato in viale Manzoni dove cantava Petrolini in un locale con
i tavoli che mi arrivavano alle spalle.
Mi ricordo questa voce curiosa e tutto ciò che faceva: quella si che
era una grande scuola!
Certo che forse il fastidio che mi viene se per caso accendo la
televisione e vedo queste riviste ignobili del sabato sera,
dipende dal fatto che vissi in un'epoca di mostri dove
emergere era veramente difficile.
Basta pensare a Chevalier, a Ella Fitzgerald, a Charlie Chaplin.
Era un'epoca nella quale io potevo mandare a mia moglie, come
dichiarazione d'amore, l'inno all'amore della della Piaff.
oggi che le manderesti?...
LE DATE DI MANFREDI
1921: nasce a Castro dei Volsci
il 22 marzo.
1937: fa la prima esperienza musicale suonando it banjo nel
complessino a plettro dell'Ospedale in cui viene ricoverat per una
pleurite doppia
1941: durante la terza liceo esordisce come presentatore-attore nel
teatrino della parrocchia della Natività in via Gallia a Roma.
S'iscrive a giurisprudenza.
1943: vive per un anno alla macchia sopra Cassino
1944: entra all'Accademia d'arte drammatica.
1945: si laurea con una tesi in diritto penale.
1947: ottiene all'Accademia il diploma e viene subito impegnato in
spettacoli diretti da Luigi Squarzina e Vito Pandolfi al Festival
della Gioventù di Praga. Nell'autunno dello stesso anno entra a far
parte della compagnia Maltagliati-Gassman.
1948: al Piccolo Teatro di Milano con Giorgio Strehler
1949-51: inventa per Ia radio alcune azzeccate macchiette, Sor
Tacito, Giovannino povero cocco, it Soldato Tenoretti, Teseo, ecc.
Nella rivista Rosso e Nero con Fiorentini e Pandolfi, tutti vestiti
da donna, fa Le Tre Grazie; resta famoso anche il suo Gallia a Roma
e lo sketch con Pandolfi del laziale e del romanista. Esordisce in
cinema con Monastero Santa Chiara. In teatro lascia il Piccolo di
Milano per lravorare con Orazio Costa a Roma.
1955: partecipa per la prima volta a due film di rilievo, Gli
innamorati di Bolognini e Lo scapolo di Pietrangeli. Nello stesso anno sposa
Erminia Ferrari dalla quale avrà tre figli.
1958: Ia sua carriera nel cinema continua con parti in film di
Zeffirelli, Risi, Puccini e Loy. Nella rivista arriva la commedia
musicale: Un trapezio per Lisistrata con Delia Scala e Paolo
Panelli.
1959: partecipa con grandissimo successo a Canzonissima procurandosi
larghissima popolarità con it suo personaggio II barista di Ceccano.
1960: interpreta il giovane medico Nino Pasqui net film Le pillole
d'Ercole di Luciano Salce. Partecipa a Crimen di Mario Camerini.
1961: partecipa come attore protagonista al film di Lizzani il
carabiniere a cavallo e a quello di Luigi Comencini A cavallo della
tigre.
1962: e un anno motto importante per Nino Manfredi, che oltre ad
essere il protagonista dell'ormai mitico Anni ruggenti di Zampa,
esordisce come regista con un episodio di un film in cui gli si
affiancano altri tre neo-registi, e la critica, quasi unanime,
riconosce che l'episodio di Manfredi come il migliore.
II film si chiama L'amore difficile e l'episodio diretto da Manfredi
L'avventura di un soldato.
Sempre nello stesso anno interpreta Rugantino nell'omonima commedia
musicale di Garinei e Giovannini che ebbe 138 repliche anche
all'estero, in città come Toronto, New York, Buenos Aires.
1963: è attore protagonista dei film La parmigiana di Antonio
Pietrangeli, La ballata del boia di Luis Garcia Berlanga e del
secondo episodio del film I cuori infranti di Puccini.
1964: sempre come protagonista partecipa al primo episodio di Alta
infedeltà diretto da Franco Rossi e al terzo episodio di Controsesso
di Renato Castellani. Lavora al fianco di Vittorio Gassman nel film
di Dino Risi II gaucho.
1965: partecipa ai film ad episodi Le bambole e I complessi di Risi,
Thrilling di Scola, Made in Italy di Loy de è attore
protagonista nel film di Lina Wertmuller Questa volta parliamo di
uomini.
Diretto da Antonio Pietrangeli interpreta Io la conoscevo bene, uno
dei film di questo regista che ottiene grande riconoscimento dalla
critica
1967: e attore protagonista in Una rosa per tutti di Franco
Rossi e in padre di famiglia di Nanni Loy.
1968: gira ben tre film come
attore protagonista, Italian Secret Service di Luigi Comencini,
Straziami ma di baci saziami di Dino Risi e iò divertentissimo
Riusciranno i nostri eroi a ritrovare it loro amico misteriosamente scomparso in
Africa? di Ettore Scola.
1969: interpreta come
protagonista un film brillante di Dino Risi, Vedo nudo, e lo
straordinario Nell'anno del Signore di Luigi Magni che arriva al
primo posto assoluto nella graduatoria degli incassi delle prime
visioni con un miliardo e trecentoventi milioni e al terzo posto
nella graduatoria dei film italiani nell'intero mercato con tre
miliardi e novecentocinquantotto milioni.
Per questo film
Manfredi vince tI "Nastro d'argento" per la migliore
interpretazione maschile.
Rivede con il regista Ia sceneggiatura
e riesce a coinvolgere attori come Sordi e Tognazzi mandando
letteralmente in delirio oltre al pubblico anche Ia critica.
Scrive in quella occasione Oreste Del Buono: « Gira e rigira, i piu bravi sono sempre loro. Loro chi? In ordine di apparizione,
almeno in questo film: Nino Manfredi, Ugo Tognazzi e Alberto
Sordi. Tutti e tre si presentano in un modo e si svelano in un
modo diverso, rispettivamente con misura, sottigliezza e
prepotenza, conferendo a un film in bilico. tra farsa e
tragedia, uno spessore d'ambiguità.
Da sempre ammiro,
affascinato, la misura di Manfredi, if suo adeguarsi al
personaggio dall'interno con affetto e disistima, consapevolezza
e remissività, frustrazione e maturazione di rivalsa. »
(L'Europeo, 1969).
1970: è attore protagonista in
Rosolino Paternò soldato di Nanni Loy e partecipa al secondo
episodio del film di Luigi Zampa Contestazione generale.
1971:
partecipa come attore protagonista ai film Roma bene di Carlo
Lizzani,
Trastevere di Fausto Tozzi e La betia di Gianfranco De Bosio. II
1971 è anche ('anno nel quale Manfredi gira come regista il suo
film piu bello, Per grazia ricevuta.
II film ottiene un grande
successo di pubblico: nella stagione 1970-71 raggiunge it primo
posto assoluto nella graduatoria degli incassi nelle prime
visioni delle città capozona con un miliardo e duecentoquaranta
milioni.
II film prosegue poi, caso abbastanza singolare, le programmazioni anche
nella stagione successiva: gli incassi nell'intero mercato italiano
raggiungono alla fine i tre miliardi e ottocentonovantatre milioni.
1966: è attore protagonista, accanto a Catherine Spaak, in
Adulterio all'italiana di Pasquale Festa Campanile e in
Operazione San Gennaro di Dino Risi.
Vince it premio opera prima al
XXIV festival di Cannes 1971, ottiene poi due premi (nastri
d'argento) dei giornalisti cinematografici per it miglior
soggetto originale e per Ia migliore sceneggiatura.
Ottiene
altri premi minori come it "Globo d'oro" della stampa estera per
it miglior regista esordiente, Ia "Grolla d'oro" di
Saint-Vincent per la regia.
In Jeune Cinema il critico Andree
Tournes paragona I'atmosfera della clinica nella quale il
paziente Manfredi ripercorre con la memoria i momenti più
significativi del proprio passato ad un'immagine di Giorgio De
Chirico e it carattere di tutto ià film al primo Bunuel del «
periodo messicano che, attraverso un melodramma, una commedia,
faceva opera di educazione senza indulgere ad alcuna ricerca
stilistica ».
1972: oltre a partecipare, sempre come
protagonista, a Girolimoni - II mostro di Roma di Damiano
Damiani e a Lo chiameremo Andrea di Vittorio De Sica, interpreta
Geppetto per Pinocchio di Luigi Comencini, sceneggiato per Ia
televisione.
Ricordando questa sua affascinante esperienza
Manfredi racconta: « Stimavo molto Comencini, con il quale mi
ero trovato benissimo nelle precedenti esperienze, da quella
lontana di "A cavallo della tigre" a quella più recente di "Italian
Secret Service", ma non mi sentivo cosi vecchio da impersonare
Geppetto.
Comencini mi convinse dicendomi una cosa molto bella;
che ero I'unico in Italia che avrebbe potuto parlare con un
pezzo di legno.
Gli chiesi allora un po' di tempo per pensarci,
volevo evitare di cadere nei soliti trabocchetti, nella figura
del vecchio convenzionale.
Poi scoprì la chiave giusta per la
mia partecipazione:
Geppetto era in realtà un bambino, solo,
desideroso di affetto, che costruiva questo giocattolo perché
gli tenesse compagnia_ fu allora che decisi di poterlo fare »
(Da Nino Manfredi di Aldo Bernardini Gremese, Roma 1979)
1974 interpreta due film di grande successo di pubblico e di critica,
Pane e cioccolata di Brusati, che vince "Orso d'argento" al Festival di
Berlino, un "Nastro d'argento", it "David di Donatello" e altri premi, e
C'eravamo tanto amati di Ettore Scola. Questo film e uno dei maggiori
successi commerciali dell'anno con due miliardi e 694 milioni d'incasso.
Ottiene inoltre tre "Nastri d'argento" e in Francia vince it premio
"Cesar" per il miglior film straniero.
1975: è il protagonista di Attenti al buffone di Alberto Bevilacqua.
1976: oltre a partecipare come protagonista di episodi in Signore e
Signori buonanotte e in Quelle strane occasion! di Luigi Magni, in
Basta che non si sappia in giro nell'episodio diretto da Comencini,
nello stesso anno interpreta la parte del guercio e ubriacone Giacinto
del film di Ettore Scola Brutti, sporchi e cattivi che vince il premio
per Ia migliore regia a Cannes.
Scrive Lorenzo Codelli: " Il pilastro del film è il
mostruosamente gigantesco Nino Manfredi; anti-Geppetto per eccellenza,
suo vecchio Giacinto si situa tra le creazioni più memorabili del cinema
italiano.
Egli è tra quei rari attori capaci d' "ingrandire" da un personaggio
all'altro, nella sua ultima performance, cosi, non si ritrova alcun
movimento, alcuna dizione già impiegata o conosciuta, ci si sorprende ad
ammirare delle gags, dei gesti inediti per lui, concepiti espressamente
per il personaggio, orchestrati all'unisono con it ritmo implacabile del
film » (Parigi 1977).
1977: e l'anno dello strepitoso successo di In nome del papa re di Luigi
Magni.
II film vince tre premi "David di Donatello" tra cui quello per
l'interpretazione maschile dato appunto a Manfredi; e inoltre procura a
Manfredi il premio per it migliore attore al quarto festival di Parigi
1978, vince il premio "Gino Cervi" per il miglior attore
dell'anno. Recita con Ugo Tognazzi nel film La Mazzetta con la regia di
Segio Corbucci
1979: è Vittorio Barletta, ragioniere ronano, emigrato nell'
Italia Settentrionale nel film di Giuliano Montaldo Il giocattolo
1980 : interpreta lo straorddinario personaggio di Michele Abbagnano in
Café Express diretto da Nanni Loy. Manfredi si cala nella parte di è un
invalidodi mezza età che per sopravvivere e mantenere il figlio
quattordicenne in un collegio , si improvvisa venditore abusivo di Caffé
viaggiando clandestinamente sulla tratta ferroviaria notturna da Vallo
della Lucania a Napoli. La sua interpretazione viene premiata con il
Nastro d'Argento al miglior attore protagonista.
1981: dirige e interpreta Nudo di Donna
1984: vince il Globo d'oro al miglior attore per Spaghetti House diretto
da Giulio Paradisi e per Secondo Ponzio Pilato diretto da Luigi Magni
Luigi
Granetto
Biografia
Fonti e Bibliografia
John Lennon una vita complicata
Vinicius de Moraes poeta della lontananza
Scritti su Fabrizio De Andrè e Lucio Battisti
Luigi Tenco, ascoltando la morte
Incontri un po' speciali:
Carmelo Bene, Roberto Benigni, Marlon Brando,
Maria Callas, Federico Fellini, Roberto Guicciardini, Marcello
Mastroianni,
Mario Monicelli, Aldo Palazzeschi, Paolo Poli, Anna Proclemer,
Ettore Scola,
Alida Valli, Luchino Visconti e Cesare Zavattini
II
mio amico Ivan Graziani
Ancora canzoni & saggio su Renato Zero:
incontri con Sergio Bardotti, Renato Carosone, Domenico Modugno,
Gianna Nannini, Roberto Vecchioni.
Note su John Lennon, Gino Paoli, Elvis Presley, Paul Simon, Rod
Stewart, Sting e Stevie Wonder
Attrici & Dive:
Joan Crawford, Greta Garbo, Eleonora Giorgi, Daria Halprin, Audrey
Hepburn.
Angelina Jolie, Nicole Kidman, Vivien Leigth, Virna Lisi, Sophia
Loren, Pupella Maggio,
Lea Massari.Mariangela Melato, Giovanna Mezzogiorno, Marilyn
Monroe, Julia Roberts
Scrittura & Cinema:
Jane
Austen, Giovanni Boccaccio, Heinrich Böll, Gesualdo Bufalino,
Albert Camus, Truman Capote, Suso Cecchi D'Amico, Agatha Christie,
Jean Cocteau, Gabriele D'Annunzio,
William Faulkner, Francis Scott Fitzgerald, Ian Fleming,
Gustave Flaubert,Tonino Guerra, Peter Handke, Milan Kundera, David
Herbert Lawrence,
Henry Miller, Eugene O'Neill, John Steinbeck, Bram Stoker, Giuseppe
Tomasi di Lampedusa, Oscar Wilde, Tennessee William
Attori & Comici
Woody
Allen, Richard Burton, Charlie Chaplin, Alain Delon, Dario Fo,
Marcel Marceau, Chico Marx,
Walter Matthau, Philippe Noiret, Ettore Petrolini, Mickey Rourke,
Ugo Tognazzi, Peter Ustinov
Il Rovescio della Medaglia
considerazioni sui luoghi comuni
Shakespeare & Plank
considerazioni sul teatro: Il mio amico Giovanni Testori, Alfieri,
Ariosto, Artaud, Beaumarchai,
Calderón de la Barca, Goethe, Goldoni, Hofmannsthal, Ionesco,
Joyce,
Tadeusz Kantor, Machiavelli, Manzoni, Maupassant, Molière, Svevo,
Tasso, Raffaele Viviani, Wedekind
Il Fingitor cotese sapere come finzione
|