Il grande macigno di quaranta tonnellate, sostenuto da
tre pietroni aguzzi a Proleek nella contea di Louth, per secoli fu
motivo di armoniose ballate con le quali poeti e pastori occasionali
cantarono le stravaganze della natura. Ma un giorno qualche archeologo
dimostrò ai britannici che quell’ammasso di pietre era una tomba
megalitica costruita quando nella nebbiosa isola era in pieno fiore una
vigorosa e ben distinta cultura.
Ivan Graziani non ha l’aspetto megalitico anche se una certa sua rudezza
di linguaggio, il muoversi non propriamente come la Fracci potrebbero
suggerire ad un occhio attento certe sue discendenze risalenti a qualche
annetto prima di Cristo.
Comunque se ad Ivan capiterà di finire al Pincio, marmorizzato su un
piedistallo, molto probabilmente,sotto il mezzo busto, i dipendenti del
ministero dello spettacolo scriverebbero: <<un laconico rockman>>.
Se togli ad Ivan il vestito rock sotto ci trovi l’abruzzese; se gli
togli l’abruzzese ci trovi il contadino che balla il saltarello sotto il
Gran Sasso, indossando collane di aglio come in Transilvania; se togli
il contadino ci trovi il rispettabile Doctor Jekyll, poi Mr. Hyde e poi
Gabriele D’Annunzio e poi...a dar rappresentazione di un tipo così si
finisce in manicomio, meglio accontentarsi di qualche brandello sparso
qua e là da lui stesso in una splendida mattina alle otto, quando i lupi
e i cantautori impegnati vanno a dormire, mentre i Graziani, i Venturi
e i dipendenti Atac attratti dall’irresistibile fascino di Michele
Mondella, che in quelle ore albeggianti organizza le glorie future dei
dormienti, con stoicismo si danno alle affabulazioni per magnetofono,
s’allenano scazzottando nell’aria per salire due ore dopo la pedana di
Discoring.
Il luogo dove si consumano simili bravate è quasi sempre uno di questi
grandi alberghi un po’ freddi ma che hanno il merito d’essere ubicati
nel bel mezzo di un qualche crocevia strategico tipo RAI, sala
d’incisione, Ciao 2001, RCA, Mondella, autostrada per fuggire e che si
chiamano sempre con nomi presi a prestito dalla toponomastica del
quartiere: Fleming, Giulio Cesare, Cicerone ecc.
E’ importante fornire ai curiosi questi particolari perché in
quest’epoca d’infrenabili desideri demitizzatori non è di poco conto
sapere che i cantautori non vivono quasi mai dove vorrebbero:
Guccini
nel suo Appennino tosco-emiliano,
Paolo Conte
nell’affascinante e perversa Asti, Graziani all’ombra del verde Gran
Sasso, ma pur non parlandone quasi mai devono posare gli occhi tutti
sugli stessi panorami da commessio viaggiatori, fatti di autogrill
d’autostrada, alberghi di passaggio, dove
Byron
o
Goethe
non entrerebbero neanche sotto forma di pocket, e accecanti studi
televisivi dove si suda più che in Giamaica, senza il beneficio delle
palme e del calipso. Probabilmente questa condizione umana da coscritti
volontari fa esplodere in loro il desiderio di cantare e di raccontare
storie ambientate in fantastici e improbabili spazi della mente.
Nell'intervista qui di seguito trascritta, Ivan Graziani si lascia
andare a divagazioni storico-antropologico-folcloristiche che, se hanno
il merito di confondere ancora di più le idee ai pianificatori della
cronaca, non rinunciano a rappresentare Ivan nella sua natura più vera:
quella dell'imprendibile, simpaticissimo e scatenato satiro greco del
rock.
INTERVISTA A IVAN GRAZIANI
« ...Si, vengo dall' Accademia di Belle Arti di Urbino dove nel '68 mi
sono diplomato pittore.
Avevo scelto questa scuola perché nelle vicinanze era l'unico luogo dove
c'era una certa apertura mentale, ma in realtà non avevo nessuna
intenzione di fare il pittore ed è così che mi misi a disegnare cartoons.
Per due anni e mezzo lavorai moltissimo con la Svezia dove riuscii a
guadagnare fino a 120.000 lire a striscione, perché uno di quei giornali
del cavolo aveva scoperto che da quelle parti, stufi di fotografie
ginecologiche, preferivano dei disegni che consentivano alla fantasia di
spaziare.
I miei disegni comunque non erano come queste porcherie che si vedono
adesso in Italia, senza tratto, senza un'anima, perché semplicemente
ricalcati dalle fotografie pornografiche di giornali tipo " O. V. "; i
miei personaggini ricordavano quelli che si possono vedere su Linus,
solo che erano pupazzetti scopatori.
Il ridicolo di quella mia situazione di allora è che, laureato pittore,
non sapevo nemmeno come si mescolano i colori per via che metà del mio
tempo ad Urbino lo passavo alle lezioni di scultura, perché, beati loro,
avevano delle modelle interessantissime, mentre invece noi avevamo
soltanto il solito "negraccio" dell'università che veniva lì, oppure
delle "budrigone" nefaste per farci posare gli occhi sulle forme
primordiali...
Non ero insomma preso dal fuoco dell'arte e per fortuna poi mi sono
messo a suonare; anche se a dire la verità questo mestiere del cantante
l'ho fatto molto per "fame" e se fosse possibile in Italia mangiare
disegnando, forse mi piacerebbe ricominciare daccapo perché un
disegnatore è libero di fare quello che vuole mentre un cantante è
sempre nelle mani di troppa gente ».
Ma tutto questo cosa c'entra con il rock?"
Già da questa prima parte dell'intervista si può arguire una fin troppo
palese tendenza del nostro , più a procacciarsi Insensati piaceri
carnali che a rinchiudersi in una meditazione foriera di elevazioni
spirituali.
Il maschiaccio mostra il suo aspetto di godurioso sfrenato, di giramondo
scapestrato e noi, parafrasando una sua nota canzone, gli
chiediamo: « Ma tutto questo cosa c'entra con il rock? ».
« Il rock è tutto l'universo possibile anche perché il
rock è nato in Abruzzo.
Ho sviluppato questa teoria, che per me non è molto lontana dalla
realtà, suonandolo per anni con passione e capendo i meccanismi più
reconditi ed insospettabili che si muovono al suo interno.
Il rock and roll oltre ad essere il figlio spurio dei negri che si
tacevano "menare" nelle piantagioni e della country-music popolare,
anch'essa fatta di un misto di gospel-blues-ballate irlandesi e cose di
questo genere, è una musica alla cui base c'è la chitarra battente e
che, siccome gli americani non hanno mai inventato un tubo, ma di solito
hanno predato tutto, se la parte nera se la sono pappata dai negri,
quella bianca l'hanno fregata a noi.
Nella seconda metà dell'8OO in America c'erano più abruzzesi che
indiani... e questi disgraziati oltre a lavorare come bestie avranno
cantato e ballato le loro cose, se non altro come ricordo del loro
paese, e tra queste la più sentita e importante è il saltarello che è un
tempo molto simile alla tarantella, simile al ballo tondo che c'è in
Sardegna.
Durante questi anni ci sarà stata, non dico una fusione, ma tutti questi
generi musicali saranno andati di pari passo tino a quando una nuova
lingua e una nuova nazionalità non avranno fagocitato tutte le etnie
spagnole, italiane, negre, ecc. facendo nascere una nuova musica,
appunto il rock and roll. Il santone del rock and roll come tutti sanno,
è
Elvis Presley
il quale riunisce anche come persona una miriade di
elementi diversi: la tradizione negra che conosceva da vicino perché
Memphis è una città del profondo Sud, le tradizioni melodiche e
sdolcinate delle ballate dei cowboy e un nuovo modo di muoversi e di
porsi al pubblico, che, pur ricordandoli, non ha niente da spartire con
la ritualità dei movimenti dei negri.
Forse è più vicino alla sfrenatezza del tarantolato che da solo segue il
ritmo fino a non vedere chi gli sta intorno. Elvis comunque è stato il
portabandiera di questa musica, è uno che ci è arrivato dopo
centocinquanta generi musicali ma che se non cantasse in "battere" non
ci si ricorderebbe di lui. Il cantare in battere lo deve proprio alle
tradizioni musicali dell'area mediterranea.
Infatti se io faccio una statistica della musica popolare del Sud d'ltalia
come del Sud della Spagna, su dieci momenti musicali di varie
regioni,otto sono sicuramente in battere,se devi trovare qualcosa di
armonioso, di grecizzante, devi andare verso...non so... un po' in Val
di Non,dove fanno cose stranissime, oppure devi andare a Trieste, dove
però stenti a credere di essere ancora in Italia.
Comunque, senza fare troppo gli storici, io credo che anche se il rock
fosse nato indipendentemente dalle nostre tradizioni, esso funziona
magnificamente qui da noi e si adatta al bisogno di divertimento che
anche nelle nostre musiche si poteva riscontrare. Il divertimento, che
non è una stronzata ma è una cosa seria, è il 90% del rock, l'altro 10%
serve per chi, come me, vuole usare questo genere musicale per cercare
di dire qualcosa. Il divertimento, è qualcosa che richiama la stessa
dimensione magica e rituale dei nostri canti tradizionali. Io ho scritto
una canzone "Il prete di Anghiari", che è tutta impostata su queste
dimensioni.
La musica rock serve anche per ballare in un certo modo e ballando si
esorcizza la paura; tutto questo io l'ho potuto studiare presso i
contadini abruzzesi che ho avuto la fortuna di conoscere molto da vicino
perché mio padre faceva il fotografo dei matrimoni e quindi aveva in
mano il racket di tutto il contadiname di quella zona e andando con lui
da ragazzino ho imparato un sacco di storie magiche.
Per ritornare al "Il prete di Anghiari", se no qui per riparlare delle
radici del rock potremmo risalire ai dinosauri, anche se quella canzone
parlava di una situazione toscana, volevo in qualche modo unire la
passione per il rock alla dimensione magica, anche se poi difficilmente
con un pezzo veloce si riesce a creare una tensione magica a meno che
non si rinunci alle parole e ci si affidi; solo al potere frenetico di
liberarti la testa che questa musica possiede. Il pezzo lento che però è
poco rock ha invece il potere, magari con rumorini e sonagliere, di
costringere la mente a sognare figurativamente qualcosa di molto intenso
come un quadro surrealista.
Quando con il pezzo veloce sono riuscito a dare al pubblico energia
vitale, a liberargli il cervello verso chi sa quale orizzonte, ci metto
dentro quel famoso dieci per cento di contenuti che lo inchiodano sulla
sedia e io questa cosa, anche se sul palcoscenico non vedo nessuno, la
sento molto bene.
Con il rock si riescono a dire cose molto intelligenti, ancora di più
che con la ballata la quale ti dà un grandissimo aiuto perché la gente,
se non si addormenta prima ci entra dentro dolcemente, ma il rock,
proprio perché è spigoloso, angoloso nella costruzione metrica, ti
lascia la libertà di scrivere versi che non sono versi, ti dà la
possibilità di dare una mazzata in testa alla retorica.
Sfido chiunque a musicare parole come quelle di " Monna Lisa " con un
genere musicale diverso dal rock; per inseguire quelle parole,
specialmente negli stacchi, sono andato letteralmente in manicomio: "II
custode si lamenta probabilmente vuole un'altra botta in testa, ora ".
Se tu entri dentro a questo gioco demoniaco che ha il rock, tu puoi
parlare di una sedia ed essere interessante».
D'
ANNUNZIO DIPENDENZA
Sui testi dei cantautori alcuni critici " ritardati " ,
nel senso che ritardano la capacità di concepire il nuovo, sono riusciti
a scrivere corbellerie inimmaginabili per difendere ad oltranza Dante e
Petrarca che, ne sono sicuro, non gliel'hanno mai chiesto.
La poesia, o metodo di parlare per simboli e analogie di quello che si
vuole, è una maniera di comunicare vecchia come il mondo e, per quanto
vi sia una moltitudine di persone che sostiene il contrario, è uno dei
saperi più cari alla gente comune, la quale, travolta dalle ideologie
sempre più complicate dei potenti, si abbandona ad essa come ad una
vecchia amica di famiglia che fin dalla nascita, non sapendo da dove
venga e da quale parte sia entrata, si accetta benevolmente.
E' certo però che, come esistono automobili da nababbi e vecchie
carrette ad uso dei giovani e dei pensionati, così anche la poesia ha i
suoi sfarzi e le sue dignitose povertà: quella del cantautori è
mediamente benestante.
Come tutti i benestanti anche questa diva provinciale ha i suoi modelli
da imitare, una moda da seguire, una dignità composta da mostrare, senza
che tutto ciò le torni a discredito.
Fra i lampioni e le torce di questo firmamento il fuoco di D' Annunzio
brilla spesso più intenso; egli, con il suo vivere squinternato, con le
sue contraddizioni irrisolvibili, fu poeta totale e tramandò ai posteri
il suo «sapere poetico» nel bene e nel male, nel ritmo e nel gratuito,
nel sangue e nei canapè. Ivan Graziani si dichiara D'Annunzio-dipendente
e, nel prendersi tutte le responsabilità per tale abominevole vizio,
abbassa la voce, dondola ambiguamente il capo come per dire oso o non
oso ma poi... si lascia andare alla sua solita verve un po' scurrile e
riesce a ricomporre il proprio personaggio, troppo originale per dover
seriamente render conto al plateale principe di Montenevoso:
« Gabriele D'Annunzio, almeno per me, che dopo averlo
studiato a scuola un po' distrattamente ho dovuto per irresistibile
curiosità ripescarlo da adulto, mi ha fatto andare in manicomio, mi ha
fatto scattare una molla poetica, quasi una droga, che entrava in tutto
ciò che scrivevo, una bibbia dell'immaginifico, che mi faceva partire
contemporaneamente per cinque, sei, sette, anche venti direzioni
diverse.
Certo che, per quello che riguardava lo scrivere, questa frenesia è
stata la mia fortuna ma anche la mia disgrazia perché alla fine ne sono
rimasto dipendente.
Quando una persona come lui ti ha preso tu diventi Doctor Jekill & Mr.
Hyde, e qui veniamo al discorso che io faccio sempre quando mi
intervistano, alterni le cose tenere e le cose più violente. " L
'innocente " è un libro straordinario in quanto mai cosa più orrenda e
schifosa fu perpetrata con altrettanta tenerezza... e in questa
situazione paradossale poetica, perché in fondo non logica, ci ritrovi
la forza delle tradizioni della nostra terra abruzzese che vicino al
segno positivo mette sempre quello negativo, anche se poi credo che in
mezzo ci finisca quella cosa che non patteggia né per l'uno né per
l'altro e che si chiama ironia.
Anche la canzone " Gabriele D'Annunzio " l'ho scritta per rimuovere
questo personaggio così importante nella mia vita e farlo scendere dal
suo piedistallo; infatti io ho conosciuto un Gabriele D'Annunzio che
faceva il contadino: era orribile, privo di qualsiasi personalità,
ubriacone, reietto; era uno straccio d'uomo che l'unico rapporto che
poteva avere era con le bestie... e il suo più grande colpo erotico è
stato a Milano, a Parco Ravizza, dove andò con 11 cappotto nudo sotto, a
far paura alle bambine.
Pensa che divertente per uno che si chiama Gabriele D' Annunzio, che è
stato il re dei sofà, dei letti di tutte le donne meglio del mondo,
essere un disgraziato ma forse, a suo modo, anche lui un poeta ».
L'ULTIMO DISCO
Il fatidico ultimo disco anche nella più squinternata
delle interviste, dopo aver fatto il punto sugli ultimi ritrovamenti
etnologici su un'isola dimenticata del Pacifico, l'interesse, il demone
che governa il mondo, come un biscione silenzioso ma perfidamente
presente, riesce ad insinuarsi piano piano nel discorso fino a farlo
cadere sul fatidico ultimo disco.
L'ultimo disco di un cantante serve a molti usi stravaganti come per
esempio far innamorare, fornire una colonna sonora per lunghissimi
viaggi autostradali, invogliare nei supermercati l'acquisto di salamini
e detersivi, riempire i palinsesti radiofonici; ma per chi l'ha fatto
serve soprattutto per essere venduto ed è naturale che non vi sia
cantante al mondo che rinunci a parlarne con entusiasmo.
Il critico dovrebbe evitare di scendere così in basso, ma una volta
travolto dall'impeto del mercato cercherà, con ineffabile equilibrio, di
esporre le sue ragioni. Io non sono un critico e mi posso quindi
permettere di dichiarare tutto il mio entusiasmo per questo LP doppio,
inciso dal vivo, dove finalmente un cantante rock italiano entra nelle
case con il suo suono originale, i rumori della piazza, l'entusiasmo che
ti dà il cantare dal vivo senza quella mediazione della sala
d'incisione, dove musicisti spropositatamente bravi diventano, con
l'aiuto dei tecnici, stratosferici.
« I due dischi rappresentano la somma del lavoro registrato per tre
anni in tutte le città d'Italia.
Ho preso il concerto a Villa Gordiani a Roma, quello che feci nello
stadio di Catania e poi a Pesaro, dove ho suonato quel pezzo nuovo che
era nella colonna sonora del film " II grande ruggito " di
Noel Marshall.
Ho preso quindi un'enormità di materiale, il meglio tecnicamente
parlando, lasciando perdere se in quei nastri vi era registrato il
successo del pubblico in quella sera, anzi per quest'ultimo ingrediente,
necessario per un disco dal vivo, in sala d'incisione, quando abbiamo
cucito i vari brandelli del discorso sonoro, ho cercato in alcuni punti
in cui, magari, mancava l'entusiasmo perché in quella sera eravamo, che
ne so, attaccati direttamente al mixer, di ricreare quella che era la
situazione più normale. Questo è comunque l'album che preferisco in
assoluto, un po' perché ci stanno le canzoni a cui sono più legato:
perché c'è " Doctor Jekill e Mr. Hyde ", " Angelina ", " Taglia la testa
al gallo ", " Pigro ", c'è " Fuoco sulla collina " che è in assoluto la
mia canzone che amo di più, c'è " Lontano dalla paura ", ...una specie
di " medley ", una canzone attaccata all'altra, di " Addio Lugano addio
" con " Paolina " e con " Agnese ", poi c'è " Motocross " che
naturalmente non può mancare e poi c'è ,.. Monna Lisa " e " Digos Boogie
" che sono legate assieme e sono state prese in quella splendida
manifestazione al concerto delle caserme aperte l'anno scorso a Bari.
Per la prima volta ho adoperato la mia band, più o meno a me in sala
d'incisione hanno sempre messo persone eccezionali, ma non so perché non
hanno mai voluto che utilizzassi i ragazzi che in questi anni hanno
suonato con me nelle tournée.
Mi hanno detto i dischi sono una cosa diversa, figurati se io che devo
la mia fortuna alla sala d’incisione do loro contro, magari
contraddicendomi non sono mica matto!
Però, insomma, ho avuto una soddisfazione da quel punto di vista perché
quando ho messo il materiale sul piatto della sala d’incisione, mi sono
reso conto quell’energia che volevo tirare fuori, soltanto in quel modo
poteva uscire.
L’album si chiama "Parla tu" che è una vecchissima canzone del ’67
terzinata alla Otis Redding che ho voluto prendere per un fatto di
nostalgia, è una canzone firmata Lo Vecchio-Vecchioni e quindi siamo in
clima di rimembranze pesanti>>.
DISCOGRAFIA
1) Desperation
fu il primo album inciso da Ivan con lo pseudonimo Rockleberry Roll e
pubblicato dall'etichetta discografica Freedom Records nel 1973.
2) La città che io vorrei, secondo
album di Ivan e primo con il suo nome uscì sempre nel 1973 e sempre
pubblicato dall'etichetta discografica Freedom Records. Compare in
questo album la prima versione acustica della canzone "Il
campo della fiera" che verrà ripubblicata nel
suo quarto album " Ballata per 4 stagioni
3)Tato Tomaso's Guitars,
fu pubblicato nel 1974 dall'etichetta discografica Dig-It, MS 0006
fondata da Pippo La Rosa e famosa per aver per prima promosso e
distribuito in Italia i dischi degli ABBA.
Questo album, con molte cover di canzoni note del periodo fu dedicato
da Ivan al suo primo figlio il batterista Tommy Graziani
4)
Ballata per 4 stagioni fu il primo album pubblicato nel 1976 con la
Numero Uno l'etichetta di
Mogol
e
Lucio Battisti
che impose a Ivan
Lucio Fabbri
al violino,
Claudio Pascoli al sax,
Claudio Maioli
alle tastiere e al pianoforte, il batterista
Walter Calloni
e il bassista Hugh Bellen con il risultato di creare un qualche dissidio
fra una qualità musicale molto raffinata ma non sempre vicina all'ancora
inesperto Graziani.
Di quel Lp mi piacquero molto il pezzo solo strumentale “Trench” al
quale si aggiunsero a Fabbri, Pacoli, Maioli, Calloni e Brellen già
nominati sopra anche Gigi Mucciolo
(Tromba, Flicorno) e Gianni Bogliano al trombone e
naturalmente la canzone “Ballata per quattro stagioni“ molto valida
dal punto di vista letterario perché non soffocata dagli
intellettualismi di quegli anni che per inseguire una già morta
avanguardia novecentesca avrebbero allontanato un vastissimo pubblico
dalla poesia come sapere condivisibile da tutti.
Pochi versi per raccontare ai figli che
nasceranno in un paese completamente distaccato da memorie rese
antichissime dalla modernità, vissuta come tecnologia, il "tempo
sospeso" di un epoca che non vivranno più: "Primavera che sbocci fra i
fiori e i colori ed annulli nei raggi di un sole insicuro l’umidore
muschioso attaccato a quel muro...
". ma poi subito il cambio di tono per non
apparire retorico "E avanti all'estate
che ti prende alle spalle e non dà tempo per dire "Accidenti che caldo!"
che già ti rigiri nel tuo letto bollente fra le lenzuola bagnate dai
tuoi mille pensieri" per poi chiudere con la sua nota ironia "Ed io
ucciso di noia sto' a contare le ore pensa un po' che Natale. Ballata,
ballata per quattro stagioni ormai morte da tempo"
5) I Lupi, quinto album di
Ivan segnò la mia definitiva amicizia con lui.
Lo avevo conosciuto al Mulino quando collaborava come chitarrista con
Antonello
Venditti
i al poco fortunato album Ullalla.
Ho dei ricordi bellissimi di quell’esperienza, per la prima volta ho
visto due persone completamente diverse notissimo e sicurissimo l’uno,
sfigato e con nessuna voglia di arrivare l’altro stringere un’autentica
amicizia umana ed artistica.
Antonello, con un’ipersensibilità che solo chi gli sta vicino in certi
momenti può scoprirgli, si mostrava imbarazzato per una divisione dei
ruoli che gli sembrava del tutto casuale e, più di una volta, volle
interrompere il proprio lavoro e far cantare ad Ivan le sue nuove
canzoni.
I lupi risente di quest’atmosfera e di questa amicizia; infatti il
disco fu prodotto da Antonello Venditti, il quale aiutò Ivan a ritrovare
la sua personalità più autentica non appianando lacerazioni e
contraddizioni, rabbie e incongruenze per un ecologismo dell’anima buono
per la grande coppia Mogol-Battisti, ma impensabile per un rockman
scatenato e sanguigno come lui.
I lupi è un album fatto di rabbia, registrato in una settimana e
mezzo, però con grande allegria e grande menefreghismo con tutta la
solita equipe del Mulino: Hugh-Bullen al basso, Claudio Moioli al piano
elettrico, Walter Calloni alla batteria e Antonello Venditti al piano.
La canzone che dà il titolo all’intero LP è la storia di un soldato che
ha sepolto la sua divisa tra " i cespugli della Spagna", che ha
"spezzato il suo fucile" e che ama tornare nei posti dove è stato per
non dimenticare l’orrore della guerra. Fra le canzoni più importanti di
questo LP la celeberrima Motocross che inaugura quello che tanti
chiamano il filone nero, quello delle storiacce raccontate senza quel
pathos un po’ romantico che caratterizzò il repertorio della mala, ma
con una freddezza da rotocalco rotta qua e là da una buona dose d’ironia
grazianesca.
Motocross ha un inizio spavaldo " Il 250 giallo di marca giapponese //
due pacchi di cambiali // però avevo anche gli stivali di cuoio nero. //
I due retrovisori e l'alberello di taglio natalizio // io mi sentivo
forte" poi una ragazza lo frega " La nuova superstrada appena fuori dal
paese // lei mi urla "Qui va bene, fermiamoci a fumare" // Ed il momento
era perfetto,
la stavo per baciare quando all'improvviso // una
manaccia sulla spalla mi fa gelare il cuore, // due tipi da galera ed un
coltello puntato nella gola // proprio lei mi dice: //
"Calma amico! Vogliamo il tuo motore", naturalmente il
finale è esilarante " Evviva il cross, evviva il cross evviva il
motocross, // per una donna ladra evviva il motocross.
6) Pigro. sesto
album, presente nella classifica dei 100 dischi italiani più belli di
sempre secondo Rolling Stone Italia, fu registrato nello studio
di Lucio Battisti "Il Mulino"e mixato agli Stone Castle Studios di
Carimate con Calloni alla Batteria, Maioli alla tastiera Bullen al basso
e Pascali al Sax.
La copertina dell'album di Mario Convertino, che ritrae un maiale con i
tipici occhiali a montatura rossa indossati da Graziani, vinse il premio
di copertina dell'anno.
Sesto album, presente nella classifica dei 100 dischi italiani più belli
di sempre secondo
Rolling Stone
Italia,
fu registrato nello studio di Lucio Battisti "Il Mulino"e mixato agli
Stone Castle Studios di Carimate con Calloni alla Batteria, Maioli alla
tastiera Bullen al basso e Pascali al Sax
Siamo nel 1978, Ivan ha fatto di tutto: il disegnatore porno, il
sessionman in tutte le sale d’incisione siano esse mulini, castelli o
cave; ha collaborato con Battisti, che è un grande onore; con la
Premiata Forneria Marconi,
che è un grande trip; con Antonello Venditti che è come laurearsi
cantautore ad honorem, ma, come quel muratore di Amarcord che dopo aver
elencato il lavoro dei propri avi a "fare mattoni" si chiede "e la casa
dov’è?", così Ivan aspettava quel successo pieno, anche economico, che
lo avrebbe finalmente fatto conoscere come uno dei più preparati e
creativi cantanti presenti sulle scene italiane.
Le canzoni dell’LP sono tutte notissime.
"Monna Lisa", un rock folle con delle parole folli dove un povero ladro
vuole giustamente rubare il capolavoro di Leonardo perché sente che gli
appartiene, un atto di amore opposto ai fiumi di retorica e di scemenza
che esalano dalla nostra scuola: "la scuola è una gran cosa / e
soprattutto se ti insegnano ad amare / i capolavori del passato / però è
un peccato che tu non li puoi / vedere / né toccare / la cultura mi
sorride / tra le ombre e le tende di velluto / ed io sto torturando / la
tela con il rasoio e con le unghie / con le unghie ".
"Scappo di casa", la storia di un balordo che vive l’indifferenza del
gran gesto, una canzone ironicamente tragica.
"Sabbia del deserto", una lunga balla rock sulle situazioni di
provincia, quasi una canzone di Paolo Conte se fosse giovane e
abruzzese.
"Al festival slow-folk di Bi-Milano", un fantastico conseguirsi di
trovate poetiche, ridanciano-geniali, per un’atmosfera surreale
conosciuta da molti la esplicabile da pochi. "Fango", che continua la
tradizione delle storie nere aperte con Motocross scivolando in questo
caso forse un po’ troppo nell’orribile.
"Gabriele D’Annunzio", di cui abbiamo riferito abbondantemente a
proposito della D’Annunzio-dipendenza.
"Paolina" è una delle canzoni più belle e richieste di Ivan forse perché
con Paolina s’identifica una miriade di donne indecise, di demi-vierges.
Con questo pezzo Ivan riscatta, almeno per una volta, la sua tendenza a
parlare di cose atroci e a satireggiare su tutto; se non lo conoscessimo
come Doctor Jekill e Mr. Hyde potremmo anche credergli. Pigro, la
canzone che ha dato il titolo all’LP, è uno di quei bozzetti ben
riusciti che diventano il simbolo di un tipo d’uomo sotto gli occhi di
tutti: il pigro intellettuale sempre pronto a sapere tutto, sempre
l’ultimo a metter in pratica le sue idee.
7) Agnese dolce Agnese,
album pubblicato semptre con la Numero Uno nel 1979 con Maioli e
Fabrizio Foschini al pianoforte, Gilberto Rossi e Walter Calloni alla
batteria,
Bob Callero
e Giuseppe Pippi al basso e Maurizio Preti alle percussioni.
Dopo un album strepitosamente bello come Pigro sarebbe stato abbastanza
normale che fosse uscito quello che i critici chiamano "un buon LP di
passaggio ", dove di solito il cantante in oggetto, cercando
disperatamente di rifare un colpaccio, si affida più alla consolle che
alla propria anima, con il risultato sofisticatissimi suoni un po’
asettici.
Agnese dolce Agnese non risponde a questa regola e in parte è forse un
disco ancora più importante di Pigro, probabilmente perché i due dischi
escono nello stesso anno e Ivan non è certo un cantante incline a
diveggiare, a lasciarsi andare alla pigrizia del successo; all’incalzare
dei discografici lui risponde lavorando e poi lavorando e poi lavorando.
Le canzoni di questo LP sono ancora oggi fra le più richieste ai
concerti e infatti molte sono state riprodotte dal vivo nello splendido
LP doppio Parla tu Taglia la testa al gallo, Il piede di San Raffaele e
Il prete di Anghiari fanno parte di quel filone di nostalgia per una
dimensione magico-popolare. Veleno all’autogrill, Fame e Doctor Jekill e
Mr. Hyde sono tre canzoni della tradizione grazianea "sbandati-disperati-dispersi",
situazioni di tutti i giorni raccontate con antiretorica qualità oro,
con musica che non concede spazi al romantico o al casuale, sono le
famose canzoni che inchiodano sulle sedie e che vanno ascoltate con
partecipazione e serietà.
"Fuoco sulla collina", quella che Ivan definisce la sua più bella
canzone, è un quadro di Magritte, il sogno entra nella vita e viceversa,
ma rimane precisamente il senso profondo del reale nei suoi aspetti
multiformi, imprendibili e contraddittori.
Canzone per Susy, Modena Park e Agnese, che dà il titolo all’LP, vivono
nella dimensione dell’eterno femminino dal quale Ivan non riuscì mai
staccarsima che seppe trattare con una grazia e un savoir faire
veramente invidiabili; e poi cosa sarebbe la canzone d’autore se
confacesse rima ogni tanto con amore?
8) Viaggi e intemperie,
ottavo album pubblicato con la Numero Uno nel 1980 con Tony Sidney alla
chitarra ritmica,
Giovanni
Tommaso,
Van
Earl Patterson,
Piero Montanari
e
Massimo Fabbreschi al basso,
Paolo
Rustichelli
al pianoforte, Dave Bristow alle tastiere, Michael Barker e Derek
Wilson alla batteria e in fine con voci corali interpretate da
Rossana Casale,
Aida Cooper
e il gruppo vocale Baba Yaga (Isabella Sodani. Rita Mariano, Patrizia
Neri)
Per quanto uno s’innamori del proprio suono, specialmente se lo ha
portato al successo, arriva il momento per un musicista di negare se
stesso e di avere coraggio.
Viaggi e intemperie nasce dall’incontro fra uno dei più sensibili e
capaci musicisti italiani, Giovanni Tommaso, e l’incredibile mestiere da
bestia del rock con il quale Graziani è riuscito, non si sa come, a
superare le anguste e un po’ limitate vie stereotipate della musica
leggera.
Le prime tre canzoni dell’LP, Firenze, Isabella sul treno e Olanda,
tutte e tre arrangiate da Tommaso, presentano un gusto incredibile nel
dosare archi, percussioni e tastiere in maniera da non soffocare la voce
che in Firenze inizia da sola e viene poi coccolata e accompagnata nei
sempre tortuosi testi di Ivan.
Viaggi e intemperie oltre a queste finezze per orecchi fini è però anche
il disco di Tutto questo cosa c’entra con il r. & r.? , una delle più
belle canzoni di Ivan, nella quale si racconta di uno stupro e di altri
dettagli abbastanza orribili con il gusto polemico anche della voce del
miglior Celentano e del miglior Bennato fusi insieme.
Gli altri pezzi del disco, eccettuando Radio Londra che potrebbe essere
il canovaccio di un film sulla guerra, dove fra i due contendenti alla
fine vince la natura, sono più leggeri e vanno ad aggiungersi a quelle
notazioni d’amore, di costume, di gioia, con le quali il ragazzaccio
suole adornarsi il capo per librarsi leggero su un campo fiorito
9) Seni e coseni pubblicato dalla Numero Uno nel 1981 con
Dave Bristow alla tastiera,Jonathan Davie al basso, Ian Mosley alla
batteria e con la copertina disegnata un'altra volta da Mario Convertino.
Nei commenti con i quali alterno la viva voce magnetofonicamente
riportata di Ivan, parlo di D’Annunzio-dipendenza per giustificare tutta
una serie di domande su questo argomento che gli feci la famosa mattina
dei "desti per disperazione".
Questo disco risente di Venditti-dipendenza perlomeno nel lato 1, per
poi ricomporsi in grazianitudine nel lato 2.
Il Giano bifronte in cerchio sonante è in fatti da una parte quattro
canzoni lente che più adagio non si può, dove un piano addolcisce un
ascolto rievocante folkstudi e simili cave, e dall’altra è di rock
ivanesco, truffaldino e insinuante pieno di ridanciane trovate che
sottolineano testi forse un po’ troppo sicuri di sé.
Nel volto sereno, la fronte: Ehi Padre Eterno è un blues con organo
tradizionale e coretti come insalata; il naso: Signorina, che più
Venditti non si può, racconta una storia verosimile di professoressa
innamorata di certo Raimondo, il poeta diciottenne adescato; la bocca:
Pasqua, una meravigliosa lirica cantata un po’ di nascosto dove il
ricordo di un amore passato la fa da padrone; e infine il mento: Cleo,
un testo moderno che parla di echi antichi, che mi ha dato l’idea di
parlare di un disco di vinile come fosse la statua di un dio
dell’antichità.
Nel volto imbronciato ritrovi subito Oh mamma mia, rockaccio
virtuosistico erotico-culturale, e poi segue: Tigre, dove lo
sporcaccione esagera un pochino e si fa perdonare solo per il verso:
"siamo bizantini ma non siamo cretini".
Digos Bolgie è un capolavoro e sfido a non ridere nel sentire questo
pezzo dove i terribili agenti segreti italiani, "tutti quanti poliziotti
da quattro generazioni", camminano per "violetti scuri-scuri a spiare le
coppiette appiccicate a far l’amore contro i muri".
Chiude l’imbronciato dio bifronte: Ugo l’italiano, poesia di nebbia, di
sogni radiosamente inconcludenti, accompagnata da un rock lento che
spinge la puntina verso il baratro del nulla e le ultime parole di Ivan
che si possono dire sono: "Soltanto un po’ di decisione e la nave che
adesso vedi ferma è già pronta per salpare.
10)
Ivan Graziani il decimo album pubblicato dalla Numero Uno
nel 1983 con Gian Piero Reverberi, Aldo Banfi e Leandro
Gaetano alle tastiere, Claudio Bazzari alla chitarra acustica e alla
chitarra elettrica, Bob Callero e Beppe Pippi al basso, Walter Calloni
alla batteria e le voci di Pierluigi Grandi, Antonella Melone nei cori,
fu registrato registrato negli Stone Castle Studios di Carimate sotto la
supervisione del maestro Gian Piero Reverberi.
L'album inizia con la canzone autobiografica "Signora bionda dei
ciliegi" dedicata a una donna " "molto piu' grande di me" che lo
iniziò al sesso quando studiava a Firenze: "Davanti a quel divano
dannunziano // Risento la sua mano // Io spaventato rimanevo lì // Gli
occhi sgranati a sentir quei sì // Fra il piacere e il terrore //
L'odio e l'amore // E terminò troppo presto // Quel gioco crudele
d'agosto"
"Il chitarrista" fra le canzoni più divertenti di Ivan parla di
un chitarrista che, grazie a un mazzo di carte truccate, vince una notte
d'amore con la ragazza di colui che ha truffato.
Curiosa e ben costruita anche la canzone "Torna a casa Lassie" dove
Ivan sorprende il suo amico d'infanzia Giulio in un parcheggio mentre
gli sta rubando l'autoradio: "Giulio, mi hai fatto pena quella notte, te
lo giuro mi si è stretto il cuore quando ti ho beccato mentre tentavi di
rubarmi l’autoradio in un parcheggio custodito da un custode
addormentato, eri proprio tu. Giulio e mi hai sorriso, quando al chiaro
della luna mi hai riconosciuto, ti dirò come eri cambiato con il petto
tatuato, pochi denti e niente carne un cane randagio dal padrone
abbandonato, poveretto te. Oh, Giulio ritorna a casa, forse la città non
è per te qualcuno ti ha raccontato un bugia...."
11) Nove l'undicesimo album pubblicato nel 1984 dalla
Numero Uno con
Paolo Gianolio
alla chitarra, Aldo Banfi al sintetizzatore,
Celso Valli
al
pianoforte,
Roberto Costa
al basso, Luca Orioli alle tastiere, Mauro Gherardi alla batteria, Rudy
Trevisi al sassofono contralto e sassofono tenore e in fine con le voci
corali di Lella Esposito,
Franco Fasano,
Marco Ferradinii
e
Silvio Pozzoli.
Il brano che apre questo Lp è dedicato ad Attilio, un amico omosessuale
sempre sprofondato " lì in poltrona", corroso da assurdi limiti che gli
impediscono di avere " una persona d'amare le donne ti annoiano ti
buttano giù ma si stan baciando alla TV e tu, e tu, aggiungi un'altra
angoscia in più." Coraggiosa è la proposta che gli offre il cantautore:
" non puoi più difenderti da una cosa normale come quella di amare. E
sei convinto sbagliandoti che nessuno meriti quel tuo stupido cuore
sempre a caccia d'amore ora sai tuoi limiti e perciò accontentati e
sarai un signore negli affari d'amore. Hei! Attilio che fai? che sia
così per sempre non vuoi vai, corri da lei o da lui se preferisci va ma
fallo".
Fra le altre canzoni da ricordare vi sono: "Blouson noir" ,
Io che c'entro, Geraldine e Lucetta fra le
stelle
"Blouson noir"
è una deliziosa canzone d'amore per ricordare un amore del passato e per
fare un omaggio al suo amico Lucio Battisti trasformando il verso preso
da "La canzone del sole", "Le biciclette abbandonate sopra il prato e
poi noi due distesi all'ombra..." in "Le biciclette bianche
addormentate all’ombra e poi noi due specchiati sulla sponda..." e
continuando in quest'atmosfera nostalgica anche negli altri versi: Ma
che faccina avevi in quel caffè pallida e dolce mentre guardavi me...
parlavi piano piano per ascoltarlo... Lo vedi... è lui con quel maglione
nero... è lui soltanto che canta ed è sincero... La sua chitarra conduce
un gioco strano... mi sta uccidendo dolcemente piano, piano... Oh!
Blouson Noir, ancora felici ce soir... Oh! Blouson Noir, un vecchio
amore tornerà..".
"Io che c'entro" è invece un omaggio al verso di Lennon e McCartney
"She came in through the bathroom window". "Lei entrò dalla finestra del
bagno" Ivan finge di trovarsi in quel bagno dove riceve la ragazza che
gli chiede asilo : "Il mio ragazzo non lo sai ma è proprio pazzo... di
mestiere fa il prestigiatore e con me una magia vuol tentare... con una
sega in due mi vuol tagliare ma io non mi infilo in quella cassa mio
Dio, mio Dio, lui sbaglierebbe apposta..."
"Geraldine" parla di una ragazza che sogna il successo sul
palcoscenico:"Geraldine come mai sei ancora così? C’è tua madre che
chiama rispondi di sì... Oh! Geraldine non riesci ad alzarti perché, c’è
ancora un sogno accanto a te... Ma che sogno, stanotte il teatro era
immenso il profumo dei fiori era dolce ed intenso... Geraldine eri lì e
aspettavano te... la prima donna, l’unica donna... l’unica vera artista
al mondo, te..."
"Lucetta fra le stelle" come disse lo stesso Ivan "è
una canzone che ho scritto perché questa ragazza mi ha raccontato che
faceva la ragioniera e si rompeva le palle in ufficio... A fare tutti
quei conti, quelle cazzate coi numeri, quelle storie lì..."
...."lavorare, sempre lavorare Lucetta ma perché? Io non voglio che tu
sia come me che ho sprecato solo a dare la mia vita senza avere e adesso
zitta non parlare vai a dormire... Lucetta alla finestra, guardi lontano
verso Ischia... Il golfo sembra un orecchino d’oro di perle e di
smeraldi incastonato...".
12) Piknic dodicesimo
album pubblicato nel 1986 con la Numero Uno, con Fabio Marianì e
Luciano
Ciccaglioni
alle chitarre elettriche e acustiche, Beppe Pippi e
Maurizio Galli
al basso, Pasquale Venditto alla batteria,
Fabio
Liberatori
(ex-tastierista degli Stadio) con la sua schiera di fairlight e
sequencer e infine le voci corali di Susanna Cervelli, Isabella
Sodani, Pierluigi Grandi, Fulvio Mancini.
Parlando di Piknic Ivan diceva "quello è un lavoro loro, non
mio". probabilmente perchè fu registrato quasi esclusivamente per
obblighi contrattuali ma vi sono almeno quattro canzoni sicuramente da
ricordare: Sola, Shame, La mia isola e Zio gorilla
"Sola" è la canzone che apre LP. Con un
rock and roll scatenato Ivan racconta la storia di una donna seduta
su una Maserati col cuore a pezzi destinata a rimanere sola per
la sua inutile alterigia "sola come una pistola sepolta" come "la cima
di montagna" come "un vecchio reggipetto" insomma una che avrà per
compagna nessun'altra che se stessa "sola in mezzo a un letto"
"Shame", canzone molto divertente che parla di una
donna che non può essere amata perché non sa cucinare. una che non sa
"tirare neanche il collo a un vec-chio pollo come me"
"La mia isola" è un brano cantato fra un delirio di
rock digitale con suoni prodotti dai sintetizzatori che dialogano con
la chitarra acustica di Ivan ricreando con la musica i forti
contrati presenti nel testo: "Con te sarò un uomo violento e prepotente
/ ma anche un giocattolo di pezza con cui ridere e scherzare"..."La mia
isola è qui e il sangue che ho si rigenera qui ma tu non farmi male non
farmi soffrire se mi vedi cadere aiutami"
"Zio Gorilla", un divertissement in puro stile grazianeo:
"Oh! Zio Gorilla che foto di famiglia fra mio padre mio nonno e mia zia
il più simpatico sei tu 0h! zio Gorilla aiuto aiutami tu ti chiedo
prestami la tua forza che proprio non ne posso più più più Le parlavo di
poesia di orizzonti e fantasia la sua pelle che viaggiava e non ho
capito era il sole il mare o chissà ... qualcosa di me la conquistava
già Ma dall'onda di quel mare che maledizione me lo vedo arrivare il mio
amico "Asso pigliatutto" superlevigato superabbronzato lui e lei lei già
fulminata su me lo presenti dai (Ahi Ahi Ahi Ahi) Oh! zio Gorilla
D'Annunzio dimmi a che serve quando vincono certi argomenti e
l'intelligenza perde Oh! zio Gorilla aiuto aiutami tu per la legge della
tua jungla l'avresti fatto fuori tu Oh! zio Gorilla Là li guardavo
allontanare già una coppia verso il lungomare nella mia mente candide
parole e a me che domandavo perchè vai via con lui perchè e lei perchè
sinceramente ha più capelli di te Ohi zio Gorilla aiutami tu ti chiedo
prestami la tua forza che io non ne posso piu Oh! zio Gorilla aiuto
aiutami tu per la legge della tua jungia li avresti fatti fuori tu Ta ta
ta ta tt ta Oh! zio Gorilla"-
13)
Ivangarage,
il tredicesimo album, pubblicato nel 1989 dalla storica etichetta
Carosello Records. con
Roberto
Carlotto
(Hunka
Munka)
all' organo Hammond, Pasqualino Venditto alla batteria e infine Beppe
Pippi - chitarra acustica e al basso, fu registrato alle “Officine
Pan”,studio casalingo di proprietà di Ivan
“Prudenza mai” è la canzone irriverente rock-blues che apre
l'album: "Prudenza mai, mai neanche adesso che sono grande // e
dovrei stare attento a quel che pensa la gente // e invece ti mando a
fare in culo // a te che sei il direttore che mangi sempre minestrina
// e dopo fai la cacchina. // Beh, niente sermoni, non rompetemi i
maroni. // Io sono fatto così, mi piace dare fastidio alla gente // io
sono così, mi piace andare controcorrente. // Non odiarmi mai, non
odiarmi mai // ma la prudenza io non l'ho usata mai".
Fra le altre canzoni di questo LP vi sono: "Un uomo" .
“Guagliò guagliò”, “Johnny non c’entra”
"Un uomo" straordinario hard-rock: "Dice qualcuno, qualcuno
dice che sei inutile ma non sa, non lo sa che la vita è tua passa il
sogno, afferra il sogno e vola insieme a lui e quando tu tornerai
quaggiù sarai un uomo"...." E’ sottile questo filo che ci unisce è la
debolezza che ci fa più forti".
“Guagliò guagliò”, un’intensa ballata dedicata ad una ragazza
della sua infanzia un po' maschiaccio con i "capelli color senape una
spazzola da scarpe su due occhi troppo grandi nù guagliò" che si ferisce
giocando, facendo spaventare la madre per un taglio in una gamba; "che
avete fatto alla mia bambina sono giochi troppo violenti ma non vedete
che è una donna una donna, una donna come me! Dio confonderti, ma eri
proprio come noi ginocchi sporchi e sbucciati nù guagliò"
“Johnny non c’entra” è la storia tragica di un bambino di sette
anni, che uccide il padre alcolizzato per salvarsi dalle sue continue
violenze: "Johnny apre l'armadio accade tutto in un minuto c'è il
fucile di suo padre mille volte glielo ha visto usare sa come si tiene
come si deve puntare E voi che state in poltrona o gettati in autostrada
potrete ascoltare Johnny sparare Johnny non c'entra..."-
“Noi non moriremo mai”, èun altra storia tragica dedicata a
Matteo un amico d'infanzia morto giovane: "Chissà cosa pensa Matteo con
gli amici in gita in montagna forse ha la neve di quand'era bambino ha
una Fender sul comodino Janis Joplin siede sul trono fuma e sorride
ragazzi parlate piano non bisogna sveglairla da sogno sulle colline a
disegnare dove il fiume s'incontra col mare sull'Adriatico silenzioso le
tue parole no amico mio veremo un mondo migliore perchè noi (cavalieri
del vento) non moriremo mai"
14) Cicli e tricicli,
quattordicesimo album pubbilicato nel 1991 dalla etichetta Carosello
Records con l'ex-Numero Uno Claudio Fabi alle tastiere e al pianodorte,
, Claudio Fabi. Franco Cristaldi al basso, Amedeo Bianchi al sax e
Walter Calloni alla batteria.Cicli e tricicli
quattordicesimo album pubbilicato nel 1991 dalla etichetta Carosello
Records con il alle tastiere e al pianodorte, direttore artistico,
ex-Numero Uno, Claudio Fabi. Franco Cristaldi al basso, Amedeo Bianchi
al sax e Walter Calloni alla batteria.
Per Ivan questo Lp fu un "incidente di percorso" ma io
credo che almeno due canzoni debbano essere citate: "Emily" e "Io mi
annoio"
"Emily", la canzone che apre Lp è una lunga ballata che parla di
un fantasma irlandese di una condannata al rogo "come una strega
purtroppo bruciata, dispersa, innocente" che rinasce per poi ritornare
nel nulla da dove è venuta: "Emily piange lì alla sorgente // e il suo
fantasma non può bere".
"Io mi annoio", è un tributo al repertorio pop dell'amato Paul
Simon dove Ivan racconta come avrebbe potuto avere un destino diverso;
se avesse fatto il fotografo di matrimoni "sarei quel brav’uomo che non
sarò mai // e mentre la sposa sorride ai parenti // io vedo un confetto
in mezzo ai suoi denti", se suo padre gli avesse insegnato il mestiere
"di dire alla gente ciò che vuol sentire // avrei fatto la foto anche a
un mostro schifoso // dicendo "Che bella! Quasi me la sposo" e se gli
avesse negato
"la libertà a cui non so rinunciare // io non dovrei
decidere da solo // e qualche consiglio potrei anche accettare" e quindi
il finale di questi ironici condizionali non può che essere la noia
"perché alla fine è sempre lo stesso // che tu veda bianco, che tu veda
nero // io sono sincero qui mi annoio, io mi annoio // solo come un
cane in giardino // e che non sa su quale pianta alzare la zampa.
15)
Malelingue
è il quindicesimo ed ultimo album di Ivan, pubblicato nel 1994 dalla
etichetta Carosello Records. mixato da Maurizio Montanesi presso gli
studi Fonopoli di proprietà di Renato Zero, con Beppe Pippi al basso,
Riccardo Poto alla programmazione digitale e dai batteristi Lele Melotti
e Derek Wilson.
Maledette malelingue
fu la canzone cantata da Ivan al quarantaquattresimo Festival di
Sanremo che gli permise di aggiudicarsi il settimo posto con 22 248
voti. Canzone giustamente orecchiabile parla della quindicenne Federica
vittima delle malelingue di provincia che le attribuiscono un amante che
verrà "cacciato, allontanato in un'altra città". La figura dell'uomo fu
ispirata da una persona reale,
Domenico Colantoni, pittore abbruzzese che racconto' ad Ivan la storia
di Federica lo stesso cantautore precisò che "Federica non riusciva ad
avere un dialogo con i suoi coetanei nè con i genitori e trovava il
dialogo con un uomo più grande di lei...".
Molto crude e coraggiose le parole che ivan svrisse in quel testo: "E
si dice che a lei // suo padre le ha date // di santa ragione // adesso
sta chiusa in casa // e per un bel pezzo non uscirà // con un po' di
coraggio // certe puttane vanno punite // e che diamine qua // ci vuole
sicuro un po' di moralità // ma la gente non lo sa che... // Federica ha
quindici anni // anche se una donna è //così la gente vede il male //
anche dove non ce n'è"
Fra le altre canzoni presenti nell'album oltra alla divertente "Poppe,
poppe, poppe" nella quale Ivan ricorda la sua professoressa di Petralia
Di Sotto che aveva "due tette che sembravano quattro" trovo giusto
ricordare: "Il topo" e "La bella Gina"
"Il topo" (signore delle fogne) è un'apologia della
favola esopica, nella quale un pitone domestico si ritrova come pasto
nella gabbia un "topaccio dei bassifondi" vivo, ma i ruoli finiscono con
l'invertirsi. Il pitone attacca ma il topo si scansa e l'altro batte la
testa contro il vetro. Disse Ivan a proposito di questa canzone: "Il
topo signore delle fogne è una storia vera come tutte le storie che
racconto bene o male e che fanno parte delle cose che ho vissuto o di
quelle che hanno vissuto le persone che mi sono vicine... è nella
tradizione di certi racconti di animali come quelli di Esopo, Fedro, De
La Fontaine... guardando gli animali si scopre che sono uno specchio di
quello che siamo noi..."
"La bella Gina" è la storia di un'ingenua ragazza di provincia
che vuole fare l'attrice che s'imbatte in un regista che gli dice
"figliola cara, tu non vuoi capire che per imparare a recitare ti devi
prima spogliare. Cominciamo dalle scarpe, il maglione e i pantaloni, la
camicia e il reggiseno così ad occhio tu puoi farne a meno..."
Naturalmente la bella Gina scaraventa il regista contro una serranda con
uno schiaffo fiera di aver salvato la sua purezza
Bibliografia
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AA.VV., Anonima Sound, in Gino Castaldo (a cura di), Il dizionario della
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Lorenzo Arabia, Ivan Graziani. Viaggi e intemperie, Bologna, Minerva
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Alessio Marino, Anonima Sound e i gruppi di Teramo e Pesaro Urbino, in "BEATi
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Alessio Marino, Anonima Sound e i gruppi di Teramo e Pesaro Urbino, 2ª
parte, in "BEATi voi!" Vol.2, Viguzzolo (AL), Beat boutique 67, 2008.
Luigi
Granetto
Biografia
Fonti e Bibliografia
Il Rovescio della Medaglia, considerazioni sui luoghi comuni
Il Fingitor cotese sapere come finzione
John Lennon una vita complicata
Vinicius de Moraes poeta della lontananza
Scritti su Fabrizio De Andrè e Lucio Battisti
Incontri un po' speciali:
Carmelo Bene, Roberto Benigni, Marlon Brando,
Maria Callas, Federico Fellini, Roberto Guicciardini, Marcello
Mastroianni,
Mario Monicelli, Aldo Palazzeschi, Paolo Poli, Anna Proclemer, Ettore
Scola,
Alida Valli, Luchino Visconti e Cesare Zavattini |